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"2045. Lettere da un passato futuro" di Marko D'Abbruzzi
La mia recensione: (2 su 5)
Primo capitolo ben fatto, il resto meno che mediocre
Il romanzo è strutturato in tre grandi capitoli.
Capitolo 1: circa il 20% sul totale
Capitolo 2: 40%
Capitolo 3: 40%
E questo rende le cose leggermente più semplici per descriverlo.
Prima di iniziare, per coloro che leggeranno la recensione, tengo a precisare che il libro detiene un vero record: è quello con il maggior numero di refusi che abbia mai letto.
Capitolo 1:
Sono rimasto stupito. Mi aspettavo molto, perché consigliato da diversi autori, e non mi ha deluso. Il worldbuilding esce dalle pagine e le illumina della stessa forza vibrante della città, dei suoi telefoni, luci, sofferenze. Il cloud analizza e controlla, gli uomini sono il pasto della loro stessa evoluzione. C’è tutto, l’autore ha creato personaggi reali, con atteggiamenti ed emozioni con il quale il lettore empatizza proprio perché tocca gli archetipi del nostro tempo (e ipotizza quelli del futuro) con estrema naturalezza. Si legge senza alcuna fatica, si vuole scoprire (e si scopre) sempre di più, si ama, si odia e si soffre con il protagonista. È tutto talmente chiaro e nello stesso tempo complesso. Tutto è fatto a regola d’arte: anche le scene secondarie (con personaggi che appaiono e scompaiono in poche pagine) offrono la stessa forza. Unica pecca un paio di refusi, uno fra tutti “recidere il contratto” al posto di “recedere dal contratto”. Vabbè, “perdonato” mi sono detto, succede quasi sempre, ma ancora (purtroppo per me) non avevo alcuna idea di quello che avrei trovato nei capitoli due e tre.
Capitolo 2:
Cambia molto, cambia tutto: la complessità di eventi del capitolo 1, seppure in apparenza semplice grazie all’ottima capacità dell’autore, regredisce in un viaggio dell’eroe di una banalità disarmante. Perché se L.F. Baum dimostra che nel viaggio lineare lungo la “strada di mattoni gialli” è possibile inserire sentimenti, azione e ironia, qui troviamo un tentativo goffo soprattutto a causa dei personaggi.
I personaggi sono eroi, antieroi? Per non sbagliare stanno nel mezzo: a comando trattano il sesso semplice come mangiare noccioline, oppure con il pudore della prima esperienza. Ammazzano a sangue freddo oppure non uccidono perché “sono i buoni” solo in funzione di liberarsi o meno di altri personaggi, tutto alla faccia della coerenza. Il protagonista è quello che ne soffre di più: in elucubrazioni degne del migliore pippone galattico insiste sul concetto del proprio cambiamento, ma in realtà quel cambiamento era già evidente – e mostrato maledettamente bene – nel capitolo 1. L’impressione è che l’autore non si è reso conto della qualità di quel capitolo, trascinando il protagonista in una spirale di ripetizioni di sé che non smette mai di mancare fino alla fine del romanzo. Peccato. Gli altri personaggi soffrono guidati dalle forzature dettate da un protagonista che ha perso tutta la forza precedente: sono a tratti incoerenti, nascondono (a forza) qualcosa in un ipotetico colpo di scena che non accade mai, tenendo i più romantici sulle spine con una storia d’amore dal sapore adolescenziale mentre gli errori ortografici aumentano come quelli di trama e stile. Si viaggia attraverso avvalli (avvallamenti per gli italiani) e si pernotta negli accampi (accampamenti) confondendo “un” con “una” o viceversa, pasticciando un po’ con lo stile che, seppure tenta, non riesce a risollevare il livello del testo. Perché? Perché il linguaggio scurrile, le imprecazioni, perdono tutta la forza di un atteggiamento maturo e appaiono di colpo tirate fuori da dodicenni al parco; perché l’infodump degli oggetti – tanto caro a scrittori di fantascienza d’avanguardia come Sterling, Gibson, Dick, che oliava testi bizzarri forse, ma precisi nel meccanismo – qui ha senso come mettere l’olio del motore nella minestra. E i nemici? Ti aspetti un nemico ben preciso, e capisco anche l’intenzione dell’autore di mostrare che il vero nemico non è fisico, ma all’interno delle volontà umane, ma qui – nel 2045 – il vero nemico è nei branchi di cani. Cani ovunque, cani normali, mutanti, rabbiosi, sempre affamati. A voler esagerare (un po’ me lo merito, anche solo per essere arrivato a fine lettura) i cani domineranno il mondo. Una buona notizia per gli ambientalisti. Cosa c’è di buono? L’idea di base, è innegabile, il dialetto tipico delle “zone rosse” con il quale l’autore è riuscito a delineare una non-evoluzione, o anche una regressione, da cui l’uomo non è immune. Ci sono poi le descrizioni dell’ambiente: suggestive, azzeccate, delineano la sua comprensione del futuro distopico e lo rendono vivo. In questo davvero bene.
Capitolo 3:
show don’t tell quasi inesistente in favore della forma epistolare, ancora tanti ma tanti refusi, e non solo. Ho trovato uno degli errori più scontati dello scrittore medio: è salito in cattedra. Ha smesso di mostrare (lo faceva già poco) e snocciola ovvietà (giustamente condivisibili) sugli attuali problemi legati a social network, la sempre minore empatia tra persone, la mancanza di privacy su dati sensibili e sui rischi dei conflitti geopolitici.
La modalità epistolare racconta come un grande occhio, analizza e giudica con la voce dell’autore, perde la forza del “solito” capitolo 1 dove invece i messaggi erano affrontati e mostrati in personaggi eccellenti. A chi dice “fa riflettere” rispondo che “sì, fa riflettere” per la correttezza delle informazioni soprattutto, ma lo fa nel modo sbagliato: è servito come un piatto già pronto che somiglia troppo alla saggistica (a tal proposito saggi di Harari e Khanna dicono molto sull’argomento “evoluzione”). L’autore in cattedra mostra quanto abbia studiato, le proprie idee sul futuro tutte condivisibili, ma non lo mostra attraverso la vita dei personaggi. E un po’ si perde il valore della narrativa, che invece sarebbe stato possibile con uno sforzo maggiore, magari attraverso l’uso del flashback.
In tutto questo, nella poca narrazione efficace (perché qualcosa c’è), come per il capitolo 2 hanno molta importanza (e sono fatti bene) gli scenari: cieli plumbei e nuvole sinuose, paesaggi poetici che alimentano un’enfasi che nei fatti è purtroppo carente, sommata a “spiegoni” su cosa è già accaduto (che abbiamo già letto quindi) e su “cosa accadrebbe se”, ancora spiegoni di nozioni tecniche su cosa dovranno fare per risolvere i loro guai. Elucubrazioni dei personaggi sul proprio passato, speranze per il futuro, ma tutto tremendamente immobile: come ascoltare i discorsi delle statue. Anche se (credo) non fosse nelle volontà dell’autore, almeno questo rende il testo inquietante.
In generale: nota positiva nell’inserimento di elementi come la nanotecnologia e lo sviluppo tecnologico degradante per la società a favore delle grandi corporazioni: l’autore riprende le teorie del postcyberpunk, ha studiato, ipotizza un’evoluzione (ipotetica ma plausibile) del dark web nel contesto da lui creato, cita la sindrome di Morgellons che mi ha fatto tornare alla mente un servizio di Daniele Bossari nella trasmissione “Mistero” in onda 6/7 anni fa su Mediaset. L’errore non è negli elementi (le idee sono buone e l’ho già detto) ma nel modo in cui sono presentate.
Ho notato che: escludendo un paio di refusi nel capitolo 1, il restante 90% di questi è nei capitoli 2 e 3. Gli errori non sono ortografici perché scritti in modo errato, sono parole corrette se decontestualizzate dalla frase. Da questo una cosa è evidente: l’editor, o il correttore di bozze o l’autore stesso, non ha davvero riletto il testo, ma si è affidato al correttore ortografico di Word. Se il testo fosse stato davvero riletto certi errori: di forma, di trama e anche grammaticali, sarebbero stati evitati. Immagino (ma ne sono certo) che i capitoli 2 e 3 siano stati “soporiferi” anche per loro, e il risultato si vede.
Non faccio spoiler su come il protagonista sia arrivato al suo “castello di smeraldo”, ma chi dovesse leggerlo noterà le forzature che hanno dato vita e alimentato il capitolo 2, in aggiunta a qualche incoerenza di trama (forse l’autore non ricordava bene le prime fasi sempre del capitolo 2)
Niente spoiler neanche su cosa accade nel finale: è stato coerente, accettabile, ma non riscatta gli errori precedenti.
Considerazioni molto personali: credo che se il libro fosse tagliato al solo capitolo 1 e trasformato in racconto sarebbe una vera perla, ma sono consapevole dell’impossibilità di una tale modifica. Il mio consiglio, per rispetto verso chi lo comprerà e lo leggerà (pagando con i propri soldini), è quello di editare almeno i refusi.
Ho letto questo libro per due motivi: il primo è la trama molto interessante, il secondo è perché consigliato da diversi autori (alcuni dei quali ritengo molto meritevoli). Ora: io non sono un editor, non sono un correttore di bozze, non mi atteggio a risolutore di problemi letterari, no. Ma come autore e lettore riconosco refusi, forzature di trama, regressione dei personaggi: non si tratta di opinioni personali, di letture soggettive, di gusto. In questo romanzo ci sono errori oggettivi di un’editazione mediocre, addirittura di mancata rilettura, ma sopperita da un’ottima pubblicità. Mi soffermo su questo: è giusto che ci sia solidarietà tra autori che hanno bisogno di farsi conoscere, è giusto consigliare senza prevaricare, è giusto che un autore già popolare (nel gruppo di autori emergenti come lui) per altri lavori ben riusciti sia premiato e incentivato a continuare: perché continuare per fare meglio è l’obbiettivo di tutti gli autori. Ma perché consigliare e un testo mediocre dal punto di vista oggettivo? Perché premiarlo con 5 stelle su Amazon? Posso capire gli amici dell’autore, quelli che leggono un libro ogni due anni bisestili, ma non un autore. Potremmo perdere ore a disquisire su stile, trama, dialoghi, e ognuno difenderebbe la propria posizione perché la letteratura è un campo dove il gusto soggettivo spesso prevarica (a volte giustamente) non siamo un gruppo di fisici o matematici. Ma il lettore, quello vero, quello che compra e legge i libri, si accorge del trucco. Ed è per questo che gli scrittori self o le piccole CE vengono spesso lasciate in ombra a favore delle grandi CE. Il lettore è confuso, e per non sbagliare più non compra più nulla che non abbia un marchio affidabile. È davvero questo quello che gli autori meritano? Se 2045 potesse lasciarci qualcosa sarebbe l’essere onesti con noi stessi senza lasciarci sedurre dal concetto di apparenza ad ogni costo, dimostrare di appartenere ad una comunità forzando un’opinione. Non è una guerra autore contro autore alla ricerca dell’alleanza con chi si mostra più popolare, ma credo tutto questo sia davvero difficile da cambiare. Per quanto mi riguarda non escludo altre letture dello stesso autore, anzi cercherò di capire (per assurdo) se l’errore è stato mio, cercherò di osservare dal suo punto di vista e gli auguro un grande in bocca al lupo per i suoi progetti futuri.
_EOT
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