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"Il cacciatore di sirene" di Domenico Mortellaro (4.3 su 5)

Libro complesso e consigliatissimo

Con questo romanzo chiudo il cerchio di letture dedicate a Domenico Mortellaro, autore a cui ho dato molto spazio dopo aver letto quasi (dico quasi eh) per caso un suo lavoro in Kindle Unlimited.

Cosa mi ha spinto davvero a leggere la sua narrativa?

Il libro che per primo ha attiraro la mia attenzione è stato appunto “Il cacciatore di sirene”, ma per la mia natura contradditoria è stato anche l’ultimo – tra le sue opere – che ho letto. E perché?

“Il cacciatore di sirene” non solo è edito da Kipple Officina Libraria (che io seguo da tempo per la grande qualità dei suoi testi), ma si è anche aggiudicato il ‘Premio Kipple 2019’. Roba che non può e non deve passare inosservata. E proprio per questo ho voluto leggere la precedente produzione di Mortellaro, per capire il modo in cui è cresciuto fino a questo libro: non me ne sono pentito. Ho trovato un autore come pochi nel panorama del self publisher e piccole CE.

Diversamente dal solito indico un voto per elementi di importanza nel romanzo e ne ricavo una media:

- Stile 5

- Personaggi 4.5

- Ambientazione 4.5

- Trama 3.5

Metto subito in chiaro un concetto: il voto alla trama è comunque un’indicazione oggettiva, e 3.5 resta pur sempre un voto sopra la sufficienza (7 su 10 matematico), mettendo anzi in evidenza che una trama “semplice” non è mai sinonimo di bassa qualità. Al contrario, il viaggio dei protagonisti si rivela comprensibile e l’autore ha volutamente (dico volutamente perché ormai ho imparato a conoscere il modo di scrivere di Mortellaro) sviluppato e creato più dalla loro caratterizzazione che dagli eventi esterni.

Alla base del romanzo non c’è quindi una trama fitta di avvenimenti, ma una storia: quella del cacciatore di sirene.

«Dottore, da bravo: glielo dica anche lei a quei gendarmi. Glielo dica. Io ho tutte le patenti per la caccia alle Sirene. Ho le patenti, credetemi!»

Lo stile e la caratterizzazione dei personaggi meritano davvero attenzione; se è vero che uno stile può piacere o meno, è altrettanto vero che i personaggi contano forse più di tutto il resto. E in questo “Il cacciatore di sirene” vince a mani basse. Ogni personaggio ha qualcosa da dire: ha una storia personale resa palese, ma anche qualcosa di nascosto, forse torbido, forse inutile per il resto del mondo ma non per sé. Cosa ci ricorda? La “normalità”, o anche personaggi reali in ogni senso, come la vita tra le pagine. E riscopro il piacere di leggere senza intuire cosa farà un tale personaggio o un altro subito dopo, non riesco a capirlo causa la verità che ha donato loro l’autore. Pensieri, azioni e reazioni si susseguono in un ritmo medio, non frenetico né troppo lento, che si lascia leggere con la giusta dose di interesse.

«La santa. Me l’ha date lei le patenti… Non ci si mette contro la santa… Lo mangia il bambino quella lì. Lo mangia in un colpo solo. L’ho vista io, sa? Mangiare i bambini.»

E allora? Nessuna critica? Forse sì, ma “Il cacciatore di sirene” è un libro di quelli che meritano di essere letti, che ne apprezzi le scelte di stile, che ricordi nei giorni a seguire. L’ambientazione ti catapulta negli anni ’40 dove tutto assume una velatura in bianco e nero da ricostruzione storica, dove tutti sono coerenti al periodo e al ruolo. Ma… se c’è un “ma” lo si trova nel genere che è stato promesso, quello per cui si guarda al titolo, sinossi e collocazione letteraria weird: e in questo il romanzo, almeno nella prima parte, delude. Perché se è giusto svincolare da forzature di genere, rincorrere – per quello che ormai si può – l’originalità, è anche giusta una certa coerenza generale: ma nel “Cacciatore di sirene” per il primo trenta per cento del romanzo sembra di leggere una narrativa non di genere. Dopo la storia decolla con forza, si fa sentire, ne vale l’attesa. Ma era davvero necessario? Lo dico chiaramente, i personaggi sono ben caratterizzati e secondo me il tempo dedicato alle loro “presentazioni” iniziali poteva essere evitato; avrebbe portato ad un romanzo più breve, ma l’impatto con il lettore sarebbe stato maggiore. Ad ogni modo nulla di grave.

Ultimo, ma non ultimo, alcuni refusi (circa una dozzina sull’intero libro) che un’attenta rilettura da parte della CE avrebbe potuto evitare e alcune ripetizioni in particolare nella prima parte. Mi piace come l’autore ha saputo mostrare il passato nella sua narrazione, in questo anche gli usi e il linguaggio non sono da sottovalutare. Ma la ripetizione della parola “storiaccia” o “fattaccio” (ad esempio) diventa spesso inutile e noiosa proprio perché parole particolari da usare con parsimonia per evitarne una “svalutazione”.

_EOT

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burtozwilson@etik.com

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Speculative fiction author about horror, thriller, fantasy and sci-fi
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